La sua
origine antica è testimoniata da un rogito del 1393, quando
Galeotto Rigosa lo ricevette in affitto per nove anni dal
vescovo, con la dotazione di una macina; quest’ultima traeva
energia dal canale di San Giovanni. Come il vicino
mulino
Tivoli, nel 1569 risulta concesso in enfiteusi alla famiglia
Malvasia, nel 1574 il mugnaio affittuario è Giacomo Brais.
Nel 1641 era munito di due macine e due gualchiere. In
seguito diverrà di pertinenza della famiglia Marsigli fino
alla fine del 1800, per poi passare alla conduzione dei
Facchini, con Giovanni prima e con Enrico nel 1890. Negli
ultimi anni di vita l’edificio fu riconvertito a caseificio,
per poi essere abbandonato definitivamente.
(cit.
Sperandini, "Mulini ad acqua tra Samoggia e Panaro" - Centro
studi storici nonantolani) |