Costruito nella seconda
metà del seicento dal Marchese Filippo Rangoni per
sostituire il più antico mulino di Campiglio, che sorgeva a
poca distanza ma si trovava in stato fatiscente, fu
interamente ricostruito tra il 1842 e il 1845 con dimensioni
imponenti, allorchè il precedente edificio rischiava
anch’esso di rovinare. Disponeva di ben sette macine, due
delle quali usate per la macinazione del frumento, tre per
il frumentone e le ultime due per la brillatura del riso. I
palmenti erano azionati dalle acque del Panaro, condotte
alla località Tavernelle dal canale di Marano, corso d’acqua
che era stato scavato dagli uomini della stessa comunità ad
uso del precedente opificio seicentesco. Non più in uso ai
giorni nostri, è in attesa di una nuova destinazione d’uso.
(cit.
Augusta Redorici Roffi e Maria Grazia Grilli in “Con la forza dell’acqua” A cura di Giampaolo
Grandi
Gruppo di documentazione vignolese “Mezaluna” Mario Menabue) |